Nelle fantasie dell’erudito Traiano Boccalini, cinque secoli fa, si dipingeva un vivace dialogo nel Parnaso dove la Libertà di Genova veniva esclusa dalla cerchia delle altre Libertà italiane, relegata al margine per la sua stretta relazione con la Spagna e i suoi dobloni, venendo paragonata a una “vilissima meretrice”, lontana dall’essenza casta di una donzella pura. Tuttavia, la Libertà genovese non si scomponeva, sostenendo con fierezza di tenere gli spagnoli in scacco con i suoi scambi, superando persino l’influenza degli Olandesi e dei Zelandesi con le loro armate.
Questa dinamica metaforica, in cui Genova, contraddicendo l’etica casta delle altre Libertà, rivendica la propria autenticità attraverso il linguaggio della libertà, avrebbe sicuramente affascinato Fabrizio De André. Le sue canzoni, dalle atmosfere di “La città vecchia” all’oscurità di “La domenica delle salme”, intraprendono un viaggio simile, unendo temi profondi in un racconto formale arricchito da metafore, potenziato dalla musicalità delle ballate.
Un esempio celebre di questo è “Via del Campo”, dove una melodia di Enzo Jannacci, dalle radici nel ‘500 secondo le note sul vinile, accompagna una serie di immagini allegoriche – graziosa, bambina, puttana – che sembrano narrare l’anima stessa della città. È come rivivere l’atmosfera immaginata cinquecento anni prima… anche se la Libertà di Genova, idealizzata da Boccalini, forse avrebbe sottolineato che dai letami nascono fiori, mentre i diamanti potrebbero trovare una collocazione più conveniente sulla piazza di Anversa.
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