Venti d’Arabia
Sono diverse le parole di origine araba entrate nella parlata genovese, a testimonianza di uno stretto legame della città con l’oriente!
La parola di origine araba più nota fuori da Genova è forse “trenetta“, derivante dal termine “itriya” – usato in un testo siriano del IX secolo per identificare un’antenata della pasta. Esso probabilmente a sua volta è stato mutuato dal termine greco “trix”= capello.
Ma anche il molto meno noto “scucuzzun” dovrebbe derivare dal celeberrimo “cuscus” e così il “mosciamme” (da “mosammed” = cosa solida). Lo “scabeccio” (dal marocchino “sikbag” = pesce marinato) e la bottarga (dal copto “butareh” = uova di tonno pressate e salate)
Significativamente, le parole arabeggianti più note in città sono invece legate alla vita del porto. Basti pensare a “camallo” (da “hamal” = facchino) e poi “raiba” (da “rahaba” = mercato).
Ci sono poi “casana” (da “hazana” = tesoro/magazzino, ma anche portagioie) e “darsena” (da “daras sinah” = casa d’industria). O ancora “fondaco” (da “funduq” = alloggio di mercanti – a sua volta dal greco “pandocheion” = che accoglie di tutto). Inoltre sono di origine araba due parole strettamente legate al mondo tessile, come: “mezzaro” ( da “mizar” = velo) e “macramé” (da “migramah” = nodo/frangia).
Più aderente al termine arabo originale “meskin” (= poveretto) è l’uso del genovese “meschinetto” rispetto all’italiano “meschino” – di netta impronta spregiativa. Invece “gabibbo” si è trasformato dall’originale “habib” (= amato/amico) in un epiteto di vago sentore denigratorio.
Di certo, il fatto che in genovese esista la parola “ramadan“, nel senso di confusione, denota una stretta consuetudine con le usanze musulmane (magari non molto ben comprese). Risulta curioso invece che gli stessi genovesi tendano ad attribuire origini arabe a parole che poi arabe non sono! Non lo è “gioxia” (deformazione dell’italiano “gelosia” nel senso di persiana) e non lo è “massacan” (che pur se attestato nel dialetto fin dal XV secolo, non ha un’etimologia convincente). Non lo è neppure “macadam” (presente anche in italiano), che invece deve il suo nome a John Loudon MacAdam, inventore di quella particolare pavimentazione stradale.
Insomma, una città crocevia di merci, crocevia di persone e crocevia di parole!
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