I Conservatori del Mare
Da che esistono gli stati, esiste la burocrazia e i suoi palazzi ne rappresentano i veri e propri “luoghi del potere”. Genova anche in questo non faceva eccezione. Il “Palazzo” doveva la sua importanza più alla presenza del parlamento e delle svariate magistrature che alla residenza ducale. Dai Supremi Sindicatori alla Magistratura “dei Rotti”, gli uffici amministrativi della Repubblica erano dislocati tra i vari piani di Palazzo Ducale, rendendolo un formicaio di magistrati e funzionari. Faceva eccezione la Magistratura dei Conservatori del Mare. Essa aveva la sua sede presso i Banchi, a due passi dal porto e in posizione centrale tra la sede del potere civile e quella del potere economico: la Casa di San Giorgio.
Erano cinque i membri, eletti tra i nobili, che restavano in carica per venti mesi. A questi si aggiungeva un “sindaco” il cui mandato era però triennale. Le loro competenze riguardavano tutte le questioni in materia marittima, civile e penale.
Erano tenuti a svolgere le loro funzioni in porto, ispezionando le dotazioni di bordo, verificando permessi e registri e visitando personalmente “tutti i vascelli che verranno di fuori” controllandone rotte ed equipaggi. Il Sindaco aveva il compito di accordare il permesso di lasciare il porto cittadino, riscuotendo una tassa. I magistrati avevano l’incarico di sorvegliare continuamente le condizioni del mare. In caso di fortunali, potevano anche ordinare lo sbarco forzato di tutti gli equipaggi.
Come in tutte le burocrazie, anche in quella genovese erano frequenti i conflitti di competenze. I Conservatori non avevano voce in materia di opere portuali, ma si sovrapponevano alla Rota Criminale per questioni di polizia e sicurezza. Nei casi in cui si dovevano comminare pene corporali o condanne superiori ai tre anni, i magistrati si congregavano con un pretore della Rota. Il suo voto era determinante nella sentenza e si assisteva alla messa in opera di un delicato sistema di equilibri. In effetti, tra le competenze di questi magistrati, c’era la “spinosa” questione dei giudizi sui naufragi.
Si trattava di cause che richiedevano non solo una certa perizia investigativa, ma riguardavano spesso cifre rilevanti. Come dimostrare, infatti, se un naufragio si era davvero verificato e non si trattasse di un trucco per intascare l’intero profitto del viaggio senza dividere nulla con gli investitori rimasti a casa?
Situazioni del genere, analoghe ai casi di pirateria, erano frequenti e la loro composizione, irrimediabilmente, finiva per scontentare qualcuno.
I marinai godevano dello “ius murmurandi”, il diritto al mugugno. Anche i Conservatori del Mare avevano parecchio da mugugnare e aspettavano con impazienza la fine del loro mandato. D’altronde, per evitare che un magistrato acquisisse troppo potere dalla permanenza in una stessa carica, trascorsi i venti mesi questo era ineleggibile per i successivi tre anni.